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Sta per attraversare; fa i primi passi incerti: non sa se la strada sia sufficientemente sgombra per attraversare e i colori del semaforo gli dicono poco. Sono segnali vaghi. Attraversa, ma è tardi. A sinistra scatta potente una moto. L'ombra esita e di scatto torna indietro sui suoi passi. Urta il lato della moto; la moto schizza, il motociclista vola via, ruzzola, sviene. L'ombra vorrebbe rialzarsi con fare meccanico; come se quel gesto fosse abituata a farlo da sempre. Qualcuno gli dice: stai giù, stai giù! E lui resta lì. Quasi scompare nell'asfalto.
Attraversa la strada, piegandosi in due per lo sforzo. L'uomo piegato in due canta un urlo che domina ogni altro rumore. Ogni particella della sua natura urla protesa, all'incrocio delle due grandi strade. Nessun sembra accorgersi di lui; anche chi lo guarda. C'è chi si nasconde, dietro le colonne del porticato, per non incrociare lo sguardo di quell'ombra, cercando di mantenerla così lontana dal suo piano dell'esistenza. Ma anche per non profanarla: la sacralità di quel grido doveva restare vergine.
Apparentemente due fatti casuali, successi in due giorni dell'anno diversi; ma alla stessa ora e nello stesso luogo. Come se quel luogo fosse un nodo, in cui le ombre suicide si manifestino. E in un gesto, cambiano la vita a chi le incrocia.