giovedì 27 dicembre 2007
4- L'ultima volta di Anton Karas
E poi l’estate finiva e Anton Karas bambino ripartiva lasciando la sua tenera amica.
A lui bambino diceva che aveva un dono. E lui bambino le credeva e da lei imparò
le pause, l’ombra e il mormorio della risacca e li suonò con il suo zither.
Poi Anton Karas, il maggiore dei due, Anton Karas il maggiore morì che ancora era un ragazzo.
Il minore non lo pianse.
Solo la sua determinazione a vivere per suonare ne ebbe slancio e da allora non si arrestò più.
La vita del maggiore dei due si dissolse in quella determinazione.
Quello fu il vero dono.
Nessuno dei due Anton Karas fu più lo stesso.
domenica 18 novembre 2007
giovedì 15 novembre 2007
Labirinto Palumbo
Molti mi chiedono di usare il blog di Troglodita per comunicare l'uscita di mie pubblicazioni o di mie iniziative. Ne ho creato uno ad hoc.
www.giuseppepalumbo.blogspot.com
Accontentati?
giuseppe palumbo
ps:l'immagine è la copertina di Tomka, edito da Rizzoli e scritto da Massimo Carlotto. In libreria...
lunedì 5 novembre 2007
Troglodita a Bruxelles
domenica 4 novembre 2007
sogno settembrino
Ho ritrovato un appunto, poche righe e un disegno; la trascrizione postuma di un sogno.
Avevo sognato questo:
Una enorme testa cade, fragorosamente, al suolo. Come provenisse da una distanza immane. Sembra una statua, anzi il frammento fossile di una divinità dimenticata.
A poca distanza assistiamo frastornati, atterriti, alla caduta di un secondo pezzo; non ricordo se una gamba o un braccio. Gigantesco.
Quando sembra che tutto sembra sia ormai finito, qualcosa arriva a scuotere quei monoliti, qualcosa li anima e poi... all'improvviso, li attrae, li risucchia verso un punto lontano del cielo.
Un corpo, quello della divinità fossile si compone rapido nella stratosfera, punta i piedi e spicca fulmineo un balzo verso il buio siderale.
Lo sguardo di sfida scolpito enorme nel volto...
la data:
sogno fatto pochi giorni prima l'11 settembre 2001.
sabato 1 settembre 2007
3- L'ultima volta di Anton Karas
L'ultima volta che Anton Karas prese l'iniziativa di un confronto con Anton Karas fu all'uscita delle pagelle. Anton Karas, il suo omonimo, era più grande di lui di un anno e di lui era migliore, a detta di molti, sotto tutti i punti di vista. Suo padre, tra i molti, glielo additava ad esempio ogni volta che un insuccesso bussasse alla porta della sua giovane età: sperava che quel modello di virtù, impedisse a suo figlio, l'omonimo, di incontrare altri insuccessi sul suo cammino.
E Anton Karas era davvero un modello di virtù: nell'aspetto fisico era alto e ben proporzionato, un neo aggiungeva grazia alle sue guance gentili; impegnato in mille attività, era un attore in erba di sicuro talento.
Anton Karas viveva invece la sua normale vita di bambino alternando quelle mediocri attività a un efferato amore per la musica: passava ore sul suo zither, finché lo sguardo di suo padre lo riportava sui libri di scuola.
Frequentavano due scuole diverse i due Anton Karas, anche se ormai l'eco dei successi del maggiore dei due dominasse tra le volte scure di tutti i complessi scolastici della città. Anton Karas, all'uscita delle pagelle, scrutò con sempre maggiore tensione il lungo repertorio di lodi e massimi voti che affiancavano quello che era anche il suo nome; non altrettante eccellenze segnavano la sua pagella.
Tranne in una materia.
Musica: sei.
Una risicata, misera, indulgente sufficienza nella pletora di ottime valutazioni.
E invece Anton Karas, il minore, alla voce "musica" poteva vantare un entusiasta, convinto, gonfio dieci.
Mai più Anton Karas avrebbe cercato il confronto. Della musica, che nutriva il lato migliore di sé, da quel momento si fece uno scudo, a forma di zither.
sabato 28 luglio 2007
2-L'ultima volta di Anton Karas
L'ultima volta che Anton Karas tornò a Matera, sua città natale, fu per tenere un ciclo di lezioni sulla sua musica e sullo zither, il suo strumento d'elezione.
Era la scuola in cui aveva studiato e da cui si era separato con sollievo.Tornando, nessun ricordo lontanamente tenero gli attraversò l'anima.
Tra i docenti rivide facce di antichi compagni di studi e di feste, di nessuno ricordava con precisione nomi e cognomi: solo vaghe circostanze di vecchie frequentazioni. Poi, nella sala della presidenza, durante un rinfresco tributatogli, apparve la sorella di Anton Karas, anche lei un'insegnante. Salutò Anton scandendo accuratamente ogni sillaba del nome. Sembrava volesse assaporare la possibilità di chiamare ancora suo fratello avendo di fronte un essere vivente e non un'ombra o, peggio, una salma.
Anton Karas era morto giovanissimo e sua sorella era, allora, una bambina. Chiamare il suo nome era stata per lei una attività durata troppo poco a lungo.
Anton Karas, in quel momento, avvertì di nuovo, ancora la servitù di quella omonimia.
Lasciò l'istituto con la certezza che mai ci avrebbe fatto ritorno.
venerdì 13 luglio 2007
rimini troglodita
mercoledì 20 giugno 2007
sabato 19 maggio 2007
L'ultima volta di Anton Karas
L'ultima volta che hanno visto Anton Karas era mentre visitava una tomba.
Era sempre stato un'ottima persona e quella sua visita fu scambiata per un atto di devozione. Conduceva già da tempo una vita riservata, al limite del grigiore, e alla fine nessuno sembrò stupirsi più di tanto della sua improvvisa scomparsa.
Sostengono di averlo visto aggirarsi nei pressi di una cava e prendere appunti su carta da musica. Sempre più spesso lo faceva, nonostante fossero esposte le bandiere di segnalazione di pericolo, per imminenti deflagrazioni in cava. Dicono gli piacesse assaporare l'eco delle esplosioni. E anche questo non sembrò strano: era stato un musicista di una certa fama e che amasse i suoni, anche i più anomali, poteva rientrare nella logica della sua natura di artista.
Qualcuno sostiene che l'abbiano visto orinare su quella tomba neanche fosse un diavolo untore. Su quella tomba, di questo sono sicuro, c'era inciso il nome di una persona morta giovanissima.
Il nome era Anton Karas.
lunedì 23 aprile 2007
trilobyte
"Perché Matera, sprofondata a mezzo busto nella roccia con i piedi incrostati di trilobiti e di cocci d'anfora, suggerisce una megalitica immobilità, ma, nel contempo, ti senti preso nella forza di un percorso orbitale, hai l'impressione che questo luogo stia compiendo, fin dall'alba delle ere, una rivoluzione cosmica attorno a se stesso..."
Giorgio Celli, Matera. Nel labirinto del tempo. 1988, Edizioni La Bautta
Ritornando dalla città scavata, porto queste righe a supporto della tesi di Troglodita e del suo vortice del tempo.
giovedì 15 marzo 2007
estraneo mi sono
Estraneo mi sono e più non vedo
me stesso e nella tenebra mi perdo;
odo un tumulto fervere e mi chiedo
se da lungi mi giunga o dal profondo
da questo mio non esplorato mondo:
se questa moltitudine che grida
è quella dei miei spiriti (e un'infida
febbre mi finge visioni strane),
oppure odo una folla lontana
nel suo cieco fermento
mandare a me la sua voce nel vento...
1912
Giorgio Vigolo
"Lirismi", Edizioni della Cometa - Roma 2003
martedì 6 marzo 2007
sabato 17 febbraio 2007
la lunga vacanza è finita
Presagio di morte nucleare, il bagliore correva nei televisori delle case e annunciava la prossima morte: sembrava quasi che tutti ne sentissero la imprescindibile necessità. La lunga vacanza stava terminando e quel bagliore e quelle urla e quei passi concitati, le corse sui sanpietrini sconnessi ormai erano una cosa sola. Avevano suicidato una idea al suo primo colpo di calcagno nel sacco amniotico, l'avevano confusa con l'urlo di un ultrà, col pizzino di un lontano zio, con l'insonnia omicida del vicino di casa e l'avevano condannata senza darle ascolto. L'esecuzione sarebbe avvenuta in punta di telecomando. Le ombre suicide avrebbero aspettato nascoste, nelle strade di Vicenza. Appena un passo dietro...
domenica 14 gennaio 2007
l'incrocio
Sta per attraversare; fa i primi passi incerti: non sa se la strada sia sufficientemente sgombra per attraversare e i colori del semaforo gli dicono poco. Sono segnali vaghi. Attraversa, ma è tardi. A sinistra scatta potente una moto. L'ombra esita e di scatto torna indietro sui suoi passi. Urta il lato della moto; la moto schizza, il motociclista vola via, ruzzola, sviene. L'ombra vorrebbe rialzarsi con fare meccanico; come se quel gesto fosse abituata a farlo da sempre. Qualcuno gli dice: stai giù, stai giù! E lui resta lì. Quasi scompare nell'asfalto.
Attraversa la strada, piegandosi in due per lo sforzo. L'uomo piegato in due canta un urlo che domina ogni altro rumore. Ogni particella della sua natura urla protesa, all'incrocio delle due grandi strade. Nessun sembra accorgersi di lui; anche chi lo guarda. C'è chi si nasconde, dietro le colonne del porticato, per non incrociare lo sguardo di quell'ombra, cercando di mantenerla così lontana dal suo piano dell'esistenza. Ma anche per non profanarla: la sacralità di quel grido doveva restare vergine.
Apparentemente due fatti casuali, successi in due giorni dell'anno diversi; ma alla stessa ora e nello stesso luogo. Come se quel luogo fosse un nodo, in cui le ombre suicide si manifestino. E in un gesto, cambiano la vita a chi le incrocia.
domenica 7 gennaio 2007
L'enigma di Michaux
Aveva camminato per anni e per secoli, consultando il calendario.
Adesso verificava se tutti fossero presenti.
Il fatto è che per quel 25 dicembre aveva dato appuntamento una volta, seicentosei anni prima, a soldati i cui genitori non erano nati, ad armi che non erano state inventate, a un massacro immenso in un luogo inesplorato.
Quando tutto si presentò all'appuntamento, lo trovarono morto, ma ancora tiepido.
da Brecce, Henry Michaux
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